Mamme e mantra: il dramma dell'opinione pubblica
- rikocucinacucito
- 14 nov 2015
- Tempo di lettura: 5 min

Diventando mamma ho scoperto un nuovo aspetto sociale sino ad ora sconosciuto, nonostante la pluri laurea presso il dipartimento di sociologia. Quando nasce un bambino il pargolo non appartiene solo alla madre ed al padre ma all’intera comunità. Ho scoperto che questo è un grande punto di congiunzione tra tutte le culture. Ogni mamma ha sperimentato la più o meno invasiva presenza di familiari, parenti, vicini di casa, negozianti e passanti che desiderano nell’ordine vedere, toccare, svegliare, prendere in braccio, far addormentare la creatura. Ho anche scoperto che ogni cultura ha i suoi mantra, opinioni popolari che ti vengono proposte, ed i suoi riti che bisogna più o meno seguire. Andiamo allora a scoprire i mantra Italiani e Kenyoti e poi mi direte voi se riuscirò a rimanere sana di mente.
In Italia:
il vizio: più che un mantra è il primo comandamento da seguire. Non so mi immagino Mosè che scala il monte e tra fulmini e tempeste viene inciso “Non viziare il bambino” (nella versione più cortese “Ma così lo vizi” oppure nel saggio detto popolare “I vizi del terzo giorno non si cancellano più”). La prima volta, prima di una lunghissima serie, che ho sentito questo mantra è stato al terzo giorno di vita di Giovanni. Per prima cosa mi sono guardata intorno per capire se fossi proprio io, sai io penso ad un bambino viziato un teppista che fa i capricci perché vuole qualcosa che, dopo lacrime e urla lo riceve. Quindi, dato il mio smarrimento, mi è stato spiegato che quando piange non devo prenderlo in braccio, che deve stare tanto nella carrozzina e che deve consolarsi da solo. Poi la frase famosissima “lascialo piangere che si fa i polmoni”, tapina io che pensavo che i polmoni già li avesse.
Il lettone: luogo proibito per i lattanti che possono essere schiacciati (questo è vero ma si presuppone che intanto si dorma, condizione che non è assolutamente necessaria) e soprattutto poi non dormiranno da soli nel loro letto. Lettone, quindi, luogo pericoloso, ameno e portatore di vizio.
Passeggiate come se fossero una via crucis: per fare 500 metri ci vuole circa un’ora perché tutti (il panettiere, il gelataio, l’elettricista, il banchiere, l’assicuratore, il tabaccaio, il barista, i bambini al parchetto, i nonni pensionati, gli sconosciuti, i conosciuti di vista, magari qualche raro amico) vogliono vedere la creatura. I commenti più belli sono stati: la tutina con i bottoni dietro la schiena lo fa riposare male (cit. di una vecchietta al mercato), mettigli il lenzuolino che c’è vento (Milano, 40 gradi all’ombra, il vento era tipo phon e Giovanni nella carrozzina, luogo dove non passa aria neppure per sbaglio), ah se dorme con le braccia alzate vuol dire che sta bene (cit. delle vecchine dell’ora d’aria).
Protezione: dopo il parto bisogna riposare, vietato uscire per 40 giorni, il bambino deve stare tranquillo e beato (ricordiamoci solo, nella carrozzina, senza tutina, con il lenzuolino e su le mani!).
Pagella Italiana: giramondo senza fissa dimora (Simon ha un reportage che chiama “homeless” che vede Giovanni mentre viene nutrito in vari luoghi tra cui su un gradino di un negozio, la stazione di Rogoredo, un ristorante con la veranda etc), che viziano il bambino prendendolo in braccio e (come se non bastasse) lo fanno anche dormire nel lettone.
In Kenya:
I bambini hanno freddo (si ho detto freddo e si state leggendo la parte del Kenya): Giovannino ha un abbigliamento casual: braghette (abbastanza sempre), maglietta, felpa (quasi mai) e copertina (per la sera) al seguito. Le calze ormai se le toglie da solo, quasi non ci provo più. Vado a messa, sono le 11.30, 27 gradi. Un’amica si avvicina con il suo pupo di sette mesi che è chiuso dentro una tuta da sci (sì una di quelle tute super imbottite, chiuse dal cappuccio ai piedi che si usano con i guanti per giocare con la neve) e, preoccupata, mi chiede se la mia creatura ha freddo. Io non so che rispondere. Rimango ancora oggi muta davanti a questa domanda (che mi viene proposta sempre, ad ogni occasione), davvero sono in difficoltà.
Babywearing: Io impavida vado in giro con il mio passeggino 4x4, comprato con ruote ed ammortizzatori apposta per affrontare le bumping road keniote. Le donne mi fermano e mi fanno il gesto di prendere il bambino, quieto e felice, in braccio con la faccia triste, quasi si mettono a piangere (per inciso Giovanni le guardabva sbigottito mentre si mangiava allegramente una mano). Mettere il bambino nel passeggino è peccato mortale, devi tenerlo in braccio sempre, super mamma-a-contatto. Babywearing, tanto di moda in Europa e USA, l’hanno inventato qui, altro che fasce, un quadratone di stoffa e via! Ha riscosso, quindi, più successo il marsupio, per non parlare della fascia porta bebè.
Co-sleeping: domande più frequenti sono state: ma come dorme da solo nella camera (ebbene si dal quarto mese siamo passati dalla culla-dove lo trovavamo al mattino con le gambe a penzoloni- al lettino nella sua bellissima stanzetta) non si sente solo? Non dorme nel lettone con voi? E se rotola giù? Il lettino e la culla sono luoghi ameni, portatori di danni irreparabili e causanti infinita tristezza.
Pannolino, uccisore di uova: una cugina era molto preoccupata perché Giovanni usa i pannolini e non il ciripà perché (attenzione!) quando fa la pipì si aziona il ghiaccio (nel pannolino, in Africa), che gli congela le uova (ho partorito una gallina e non lo sapevo) e quindi lo rende impotente.
Pagella Kenyota: genitori degeneri che congelano le uova del figlio, anaffettivi, che abbandonano da solo nel suo lettino il figlio e lo fanno morire di freddo.
Bene ora la morale della favola: la vera verità è che nessuno ha più pallida idea di cosa bisogna fare. Quando sarò al cospetto dell’Eterno due saranno le domande principali: perché esistono le zanzare e se è giusto prendere in braccio i bambini quando piangono.
Quindi io ho capito questa cosa: l’istinto materno (e paterno) esiste, è un gran dono, ed è lì per condurci nelle scelte da fare con i pargoli e sono proprio loro, i piccoletti, che ci guidano in questa scoperta. Giovanino ha gli stessi desideri che ho io: di essere voluto bene, di avere delle certezze nella vita, di essere felice. Certo per il momento questi vogliono dire prendimi in braccio che mi sento solo, mamma stammi accanto che mi perdo in questo grande mondo e facciamo insieme cose belle, che piacciono a tutti e tre. Sto imparando a rischiare anche sbagliando e chiedendo scusa per gli errori, molteplici e più o meno dannosi. Accogliere i consigli è importante, vagliandoli, ma ancora meglio è avere amici veri che ti accompagnano. Questa è davvero una tra le più belle avventure del mondo e me la voglio vivere così, con i sorrisi di Giovanni al mattino quando si sveglia nel lettone, nel momento delle coccole, nel suo entusiasmo nello scoprire che siamo qui per lui, nei piccoli ma grandi traguardi che raggiunge, e scoprire, insieme, il mondo.
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